Premessa
Non sono una giornalista, né una debunker, quindi vi chiederete come mai ho deciso di affrontare l’argomento delle bufale in Internet in un blog che parla di didattica dell’arte.
La risposta è molto semplice: perché sono un’insegnante e mi occupo di istruzione e cultura.
Due cose importantissime, alle quali ho dedicato la mia vita e che l’inarrestabile diffusione delle bufale sta mettendo a repentaglio.
Io amo Internet, e considero il Web una grande risorsa, ma, come tutti gli strumenti molto complessi, non può essere utilizzato alla leggera.
Fareste guidare una Ferrari a qualcuno che non ha la patente?
Ebbene, sappiate che ci sono bambini di 8/9 anni che hanno un profilo su Facebook.
Come intendiamo proteggerli? Come crediamo di poterli educare all’uso consapevole di qualche cosa che non conosciamo a fondo nemmeno noi adulti?
E, soprattutto: quanto tempo dovrà passare prima che la Scuola Pubblica, l’Ente preposto all’Istruzione, all’Educazione, alla diffusione della Cultura, si faccia finalmente carico di questo problema?
Io non lo so.
Ma non intendo aspettare.
Ogni giorno, là fuori, c’è gente che inventa le notizie più strampalate solo per esibizionismo, gente che fomenta odio con bufale a sfondo razzista e politico, gente che distrugge sistematicamente gli sforzi di ricercatori seri pubblicando articoli pseudoscientifici a cui la gente crede ciecamente, dato che non ha la capacità di distinguere e selezionare le notizie che arrivano dalla Rete.
E chi mai dovrebbe assumersi l’onere di educare le persone al ragionamento e allo spirito critico? Chi dovrebbe fornire gli strumenti per comprendere la realtà e sapersi orientare tra la miriade di informazioni da cui ci troviamo quotidianamente bombardati?
Chi, se non la Scuola?
Fino a quando lasceremo che pochi debunkers, animati solo da buona volontà e spirito di volontariato facciano un lavoro che dovrebbe essere nostro?
Queste sono le domande che mi sono posta negli ultimi mesi, e alle quali sto cercando di dare risposta con questo lavoro, che mi auguro venga copiato, diffuso, utilizzato il più possibile, che diventi più virale di una catena di S. Antonio.
In realtà, io non sto inventando nulla, sto soltanto raccogliendo il materiale messo a disposizione da altri, rielaborandolo e riordinandolo, in modo che risulti facilmente comprensibile ai miei alunni. A lavoro ultimato, diventerà un vero e proprio libretto, che tutti potranno scaricare, stampare, diffondere.
Ringrazio Maicolengel di “Bufale un tanto al chilo” per la fattiva collaborazione, e Paolo Attivissimo per il materiale a cui sto attingendo e per essermi stato di ispirazione.
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MANUALE DEL CACCIATORE DI BUFALE
Parte Prima:
COME RICONOSCERE UNA BUFALA ON LINE
La maggior parte delle bufale in Internet sono facili da riconoscere, basta far caso alla presenza di alcuni indizi che possono essere rilevati analizzando il TITOLO, il TESTO e l’IMMAGINE a commento del post.
1 -IL TITOLO
Spesso il titolo è “urlato”, cioè scritto con caratteri molto grandi, tutto in maiuscolo, e vi compaiono uno o più punti esclamativi. Questi espedienti grafici sono usati per attirare l’attenzione di chi legge, come se qualcuno stesse “gridando” la notizia; infatti, scrivere usando solo caratteri MAIUSCOLI nei commenti dei social network o nei forum on-line, equivale a “urlare” ed è considerato segno di maleducazione. Chi lo fa vuole esprimere in quel modo sentimenti di rabbia o esasperazione, e sta cercando di attirare l’attenzione.
Inoltre, utilizzare molti punti esclamativi al termine di una frase è superfluo e tipico degli scritti informali. Non è un vero e proprio errore, ma di solito si usa in lettere e messaggi tra amici, e non dovrebbe mai essere usato nei libri o negli articoli di giornali.
I titoli “allarmistici” sono un altro forte indizio di bufala: appelli a far girare la notizia “prima che venga cancellata da Internet”, oppure la parola “CENSURA” e i suoi derivati all’interno del titolo; inviti dai toni perentori come “SVEGLIAAAA!!!”, “è UNO SCANDALO!!!”, “GUARDATE!!!”, oppure sostenere che si tratta di informazioni SEGRETE che qualcuno vi sta tenendo nascosto.
I titoli che non corrispondono ai contenuti dell’articolo sono un chiaro segnale che si tratta di una bufala: infatti se vi stanno mentendo già dal titolo, figuriamoci quel che seguirà...
2- IL TESTO
Contraddizioni o errori grammaticali grossolani appaiono spesso nelle bufale. Potete riconoscere facilmente testi tradotti malamente con sistemi automatici per la presenza di frasi sconclusionate, o per l’uso scorretto della punteggiatura.
A volte l’intero articolo manca di logica, ma per capirlo, occorre leggerlo fino in fondo. Se compaiono contraddizioni evidenti, allora si tratta di una bufala.
È importante verificare se sono presenti riferimenti a date, persone, nomi, aziende, indirizzi, leggi o documenti. Se non ci sono riferimenti precisi, è molto probabile che siate al cospetto di una bufala.
Bisogna sempre ricordarsi che esistono le “5 W del giornalismo”, che sono preziose in questi casi:
WHO («Chi»)
WHAT («Che cosa»)
WHEN («Quando»)
WHERE («Dove»)
WHY («Perché»)
Se uno o più di questi elementi, necessari alla stesura di un articolo, manca, siete sicuramente di fronte ad un grave caso di pseudo-giornalismo, e probabilmente anche di una bufala.
Se questi elementi sono presenti e volete scoprirne di più, potete mettervi “a caccia” utilizzando i motori di ricerca (il più conosciuto è Google).
Come si fa?
Si immette nella casella di ricerca una frase tratta dal messaggio.
Meglio una frase intera, non una singola parola: ricordiamo sempre che un motore di ricerca non è un essere umano, ma un programma molto complesso, che funziona confrontando le parole che scriveremo con quello che già si trova nel suo archivio.
Il grosso problema nell'uso dei motori è proprio quello di trovare le parole che identificano ciò che ci interessa in modo univoco, cioè una serie precisa e piuttosto insolita di parole che difficilmente compariranno in messaggi diversi da quello che sto cercando.
Se così facendo, la notizia non viene trovata nei siti autorevoli (riviste di settore online, CNN, BBC, Amnesty International, per esempio), è probabile che sia una bufala.
3- L'IMMAGINE
L’immagine che accompagna un post su Facebook o su un sito internet è importantissima, e non viene mai scelta a caso.
Molto spesso, non è solo la prima cosa ad essere notata dagli utenti ma, purtroppo, anche l’unica.
Un’immagine shoccante e un titolo urlato sono tutto ciò di cui ha bisogno un abile creatore di bufale, dato che, nella maggior parte dei casi, gli utenti condividono il link senza nemmeno aprirlo.
La prima regola del buon cacciatore di bufale, quindi, è di non condividere mai una notizia senza prima aver letto e analizzato per intero il testo (vedi punto 2).
Le immagini che accompagnano le bufale sono ingannevoli e presentano delle caratteristiche ben precise: infatti sono scelte per attirare la nostra attenzione, proprio come accade nella pubblicità.
Possono essere:
a) Immagini shoccanti: mirano a destare sentimenti forti e immediati come odio, sdegno, paura, rabbia, compassione. Bambini in letti di ospedali, o che presentano sul corpo ferite o lividi; anziani in miseria che frugano nei cassonetti in cerca di cibo; scene di violenza, oppure con espliciti riferimenti sessuali.
Quasi sempre si tratta di immagini fuori contesto, cioè che non c’entrano nulla con la notizia in questione; vecchie foto che chiunque può trovare sul web, scaricare e poi usare per confezionare la propria bufala.
Possono essere utilizzati a questo scopo fotogrammi tratti da film o immagini scattate sui set cinematografici… tanto per risparmiare sugli effetti speciali.
Un paio di esempi: estate 2014, una scultura usata per gli effetti speciali del film “Pirati dei Caraibi” viene spacciata per il “cadavere di una sirena” trovato a Lampedusa.
La foto di Steven Spielberg sul set di Jurassic Park è stata diffusa su Facebook con una didascalia che affermava si trattasse dell’uccisione di un animale raro da parte del noto regista.
Incredibilmente, un gran numero di persone ha condiviso l’immagine con commenti di rabbia e insulti verso Spielberg e rammarico per il povero animale ucciso!
b) Immagini di scarsa qualità, molto sgranate, sfuocate, senza attenzione per la composizione o l’inquadratura… quasi mai le foto che “corredano” le bufale sono scattate da professionisti. Un buon modo per riconoscerle, quindi, è quello di curare il nostro gusto e imparare a distinguere le immagini belle da quelle brutte.
Ricordate: se siamo abituati alla bellezza e alla qualità, tutto ciò che è brutto e malfatto “salta subito all’occhio”.
c) “Effetti speciali” scadenti sono un altro forte indizio della presenza di bufale: infatti, anche se ormai tutti abbiamo dei programmi di fotoritocco installati sul nostro PC, solo pochissime persone li sanno usare bene.
Un fotoritocco malfatto è facile da riconoscere se si ha un occhio allenato.
d) Collages di immagini che non c’entrano nulla l’una con l’altra, sono un modo per “collegare” tra loro eventi, luoghi, personaggi, anche quando il collegamento, in realtà, non esiste.
e) Anche i colori sono importanti: uno sfondo rosso o giallo (colori caldi) attira l’attenzione, uno sfondo nero può servire ad introdurre un contenuto “misterioso”, il verde è utilizzato per suggerire l’idea di “natura” e di salute” eccetera.
I colori hanno un effetto psicologico molto forte su tutti noi. I pittori lo sanno da secoli, i pubblicitari da qualche decennio.
Oggigiorno lo sanno anche i creatori di bufale, per questo è importante che anche noi ne siamo consapevoli.
(continua...)