giovedì 13 settembre 2018

Arte giapponese

Da anni desideravo studiare, almeno a grandi linee, l'arte giapponese.
Finalmente quest'anno sono riuscita a mettere insieme una lezione per gli alunni di terza.
Spero di trasmettere loro almeno un briciolo dell'amore che ho verso le opere dei grandi autori dell'Ukiyo-e, che hanno affascinato non solo me, ma anche grandi protagonisti dell'arte come Monet, Van Gogh e Tolouse-Lautrec.
Buono studio!

Il Giappone


Il Giappone è un arcipelago situato nell’oceano Pacifico, composto da 6.852 isole, le cui quattro isole più grandi sono: Honshū, Hokkaidō, Kyūshū e Shikoku.
Molte isole sono montagne, alcune di origine vulcanica e la vetta più alta del Giappone è il Monte Fuji, un vulcano attivo.
Con una popolazione di circa 127 milioni di abitanti è il decimo Stato più popoloso del mondo. La Grande Area di Tōkyō, è di fatto la più grande area metropolitana del mondo con oltre 30 milioni di residenti.
Ricerche archeologiche indicano che l'arcipelago è abitato dal Paleolitico superiore.
Alle influenze provenienti dal mondo esterno seguì un lungo periodo di isolamento che caratterizzò profondamente la storia del Giappone.
Fin dall'adozione dell'odierna Costituzione il Giappone mantiene una monarchia parlamentare con un imperatore e un parlamento eletto noto come Dieta, rendendolo di fatto l'ultimo impero rimasto nel mondo.
L’arte giapponese è influenzata dall’alternarsi di periodi di isolamento e di apertura al mondo esterno.
Dalla vicina Cina, giunge, nel VI secolo d.C. il Buddhismo, che rimpiazza la religione shintoista, originaria del Giappone.
Lo Shintoismo, un insieme di credenze animistiche, venerazione di fenomeni naturali, esseri sovrannaturali, antenati ed eroi mitologici, non scompare però del tutto, ma sopravvive assimilato dal Buddhismo.
Alla fine dell’VIII secolo d.C., l’imperatore chiude i rapporti con la Cina e l’arte giapponese diventa man mano più autonoma, semplice, elegante e raffinata.
Nell’epoca Heian (attorno all’XI secolo d.C.) nasce il concetto di ARTE TOTALE, tipico della civiltà giapponese, in cui ambiente naturale, architettura, decorazione e presenza umana formano un insieme ideale e omogeneo.
Si tratta di un’idea di arte estremamente diversa da quella occidentale, in cui, fino alla fine dell’Ottocento, persistono le divisioni tra arti «maggiori» (pittura, scultura, architettura) e «minori» (artigianato).


L’epoca dei samurai (XII- XVIII secolo)

Katana Masamune, XIV secolo
Dalla seconda metà del XII secolo, il Giappone fu sconvolto da continue battaglie tra clan (famiglie) per il controllo del potere, a discapito della famiglia imperiale.
Alla loro conclusione, il vincitore venne proclamato Shōgun (generalissimo). Iniziò così una dittatura militare che si concluse solo nel 1868. La casta principale divenne quella dei samurai, guerrieri aristocratici che vivevano all'insegna di un rigido codice d’onore.

L’ascesa dei samurai diede il via alla produzione di un gran numero di manufatti legati alla loro figura, in particolare armature e spade. Le «Katane» appartenute a personaggi importanti sono addirittura oggetto di venerazione.

Nel XIII secolo, ricominciarono i contatti con la Cina e da quel Paese arriva in Giappone l’insegnamento dello Zen, un tipo di Buddhismo che si distingue per l’assenza di divinità e che privilegia invece la meditazione.

Lo Zen venne adottato dai Samurai ed influenzò moltissimo la cultura giapponese, in quanto riteneva che l’Illuminazione potesse essere raggiunta praticando un’arte.

Arti influenzate dallo Zen sono: il teatro, la pittura ad inchiostro (sumi-e), il componimento di brevissime poesie (haiku), la cerimonia del tè, l’arte di predisporre i giardini (ikebana) e gran parte delle arti marziali.

Kintsugi (letteralmente “riparare con l’oro”) è il nome di un’antica arte giapponese usata per riparare oggetti in ceramica che consiste nel saldare insieme i frammenti dell’oggetto usando una mistura di lacca e oro in polvere.

Lo scopo delle riparazioni eseguite con questa tecnica non è quello di nascondere il danno, ma di enfatizzarlo, incorporandolo nell’estetica dell’oggetto riparato che in tal modo diventa, dal punto di vista artistico, “migliore del nuovo”.
Rispetto all’oggetto nuovo, infatti, l'oggetto riparato è più prezioso per la sua unicità, una volta che è passato per le mani sapienti dell’artista che ha eseguito la riparazione.
Con il tempo, i samurai svilupparono un senso estetico raffinatissimo, basato sulla semplicità, austerità, asimmetria, rispetto per i segni (anche le rotture) che il tempo imprime sugli oggetti.

In architettura, le caratteristiche dell’arte giapponese sono: la leggerezza delle strutture, l’utilizzo di materiali naturali (legno, paglia, carta di riso), la semplicità, la geometria e la compenetrazione tra spazi interni e giardino, grazie all’utilizzo di verande e porte scorrevoli.

Villa imperiale di Katsura (Kyoto)

Il periodo Edo (1615-1868)
Durante il periodo Edo, una lunga pace fece sì che la casta dei samurai si indebolisse progressivamente, mentre crebbe di importanza quella dei mercanti.
Si sviluppò in quest’epoca un’arte che rappresentava la loro filosofia e stile di vita, chiamata Ukiyo-e, «le immagini del mondo fluttuante».
Più liberi dalle rigide convenzioni dei samurai e meno oppressi dal lavoro rispetto ad agricoltori e pescatori, gli appartenenti alla classe borghese potevano dedicarsi a momenti di svago: il teatro, gli incontri di lotta (sumō) e le cosiddette «case da Tè» frequentate da affascinanti gheishe, che altro non erano che raffinate prostitute.

Gli artisti iniziarono a rappresentare questa società e i suoi divertimenti. La gente che ne faceva parte si sentiva immersa in un «mondo che fluttua» (ukiyo) nel quale non vi erano certezze e in cui si cercava semplicemente di godersi la vita giorno per giorno.
Kitagawa Utamaro, illustrazione erotica, 1802


Il termine «Ukiyo-e» identifica l’arte che descrive questa realtà attraverso dipinti, xilografie e libri illustrati.
Essa si sviluppò durante tutto il periodo Edo e coinvolse i più importanti artisti dell’epoca, diventando, nella seconda metà dell’Ottocento, la forma d’arte giapponese più conosciuta al mondo.

Tra i temi dell’Ukyio-e  vi è il paesaggio.
Data l’impossibilità di recarsi all’estero, si sviluppò il turismo interno.

I giapponesi andavano alla ricerca di scenari naturali e di opere ingegneristiche, in particolare ponti.

I viaggiatori amavano acquistare stampe che raffiguravano i luoghi che avevano visitato o che intendevano visitare.

Utagawa Hiroshige (1797-1858)

Fu autore di composizioni che descrivevano bene l’amore dei giapponesi verso la natura del proprio Paese.

Tra le sue opere più famose vi è la serie dedicata alle 53 stazioni di sosta lungo la strada tra Kyoto e Edo e la raccolta «Cento vedute celebri di Edo», divenuta famosa in Europa per l’ammirazione che suscitò in Van Gogh, che fece delle copie di alcune stampe, tra cui «Acquazzone improvviso su Ōhashi».

È ritenuto il maestro giapponese degli eventi atmosferici per la sua bravura nel descrivere la nebbia, la neve e la pioggia.
Durante il periodo Edo, il Giappone era isolato dal resto del mondo: gli stranieri non potevano entrare nel Paese, né i giapponesi potevano recarsi all’estero.


Vi era però un’eccezione: a Nagasaki risiedeva una comunità olandese di commercianti. Tramite loro, in Giappone entravano libri illustrati, incisioni e strumenti ottici europei, che venivano studiati dagli artisti. Alcuni di loro sperimentarono così la prospettiva matematica e il chiaroscuro, tecniche estranee all’arte dell’estremo oriente.

Katsushika Hokusai, Interno del grande teatro Kabuki di Edo


L’apertura al mondo e il giapponismo
Claude Monet,
Camille Monet in costume giapponese, 1876

Nel 1853, l’americano Mattew Perry entrò con quattro navi da guerra nella baia di Edo e forzò il porto, chiuso dal 1641.
Il 31 marzo 1854, con la firma della convenzione di Kanagawa il Giappone si aprì definitivamente all’Occidente e nel 1867 partecipò all’Expò di Parigi.
Gli oggetti e l’arte giapponesi conquistarono a tal punto gli europei da far nascere addirittura una moda, chiamata «giapponismo».

Moltissimi artisti si interessarono all’arte giapponese e si ispirarono ad essa. Tra i più famosi possiamo citare Claude Monet, che si fece costruire un giardino d’acqua in stile giapponese al quale dedicò molti famosi dipinti; Vincent Van Gogh, che collezionava assieme al fratello Theo le stampe giapponesi e le studiò copiandole; Henri de Tolouse-Lautrec che si ispirò allo stile giapponese per comporre i suoi famosi manifesti.

Vincent Van Gogh, Giapponeseria, 1887
olio su tela 105,5×60,5 cm
Van Gogh Museum, Amsterdam

Henri de Tolouse-Lautrec, Divan Japonais, 
1892, litografia

Questo manifesto pubblicitario per il locale «Divan Japonais» a Parigi, venne realizzato dall’autore ispirandosi allo stile giapponese. La figura in primo piano, tutta nera, senza sfumature, imita le forme delle stampe giapponesi che sono realizzate con colori piatti, privi di chiaroscuro.

Hokusai
«Dall'età di sei anni ho la mania di copiare la forma delle cose, e dai cinquanta pubblico spesso dei disegni, tra quel che ho raffigurato in questi settant'anni non c'è nulla degno di considerazione. A settantatrè ho un po' intuito l'essenza della struttura di animali e uccelli, insetti e pesci, della vita di erbe e piante e perciò a ottantasei progredirò oltre; a novanta ne avrò approfondito ancor di più il senso recondito e a cento anni avrò forse veramente raggiunto la dimensione del divino e del meraviglioso. Quando ne avrò centodieci, anche un solo punto o una linea saranno dotati di vita propria. Se posso esprimere un desiderio, prego quelli tra loro signori che godranno di lunga vita di controllare se quanto sostengo si rivelerà infondato. Dichiarato da Manji il vecchio pazzo per la pittura.»
Katsushika Hokusai (1760-1849)

La vita
Pruno in fiore,
periodo Hokusai,
inchiostro e colori su seta

Hokusai è il più conosciuto di molti nomi che questo artista si è dato nel corso della sua lunga vita, secondo una pratica giapponese in uso non solo in ambito artistico.
Nacque il 31 ottobre 1760 a Edo, l’attuale Tokyo, nel distretto di Katsushika: per questo motivo è anche conosciuto come «Katsushika Hokusai».

Fin da adolescente si mise in luce per il suo talento artistico e lavorò in diverse botteghe artistiche, firmandosi con il nome di queste ultime. Solo nel 1798 aprì un proprio atelier con il nome di Hokusai, dirigendolo fino al 1810, anno in cui lo lasciò al suo allievo più dotato.

Negli anni successivi cambiò nome diverse volte, anche se talvolta utilizzò ancora il nome Hokusai, con il quale aveva raggiunto la fama.
A causa di questi cambiamenti, le sue opere vengono suddivise in periodi che corrispondono al nome che l’artista si era dato in quegli anni.

Nonostante fosse già molto famoso, fu dopo il compimento dei sessant’anni che compose le sue opere più famose, tra cui la celebre Grande onda, assumendo il nome «Iitsu».

Negli ultimi quindici anni della sua vita, nonostante la fama e l’ammirazione di cui godeva, visse in condizioni di estrema povertà a causa della grave crisi economica che flagellava il Giappone.

Tuttavia, non smise mai di dipingere: la sua passione lo spronò a lavorare fino al giorno della sua morte, giunta a novant’anni, tutti spesi nel continuo desiderio di migliorare la propria arte.




OPERE
IL PERIODO IITSU (1820-1834)

«Fuji rosso» della serie «Trentasei vedute del monte Fuji»

Le opere più note di Hokusai appartengono al periodo Iitsu. Questo nome, che significa «Nuovamente uno» fu scelto dall’artista al compimento del sessantesimo anno.
Si tratta soprattutto di xilografie che rappresentano paesaggi, oppure fiori, raccolte in serie che possono contare dalle poche unità a decine di fogli.
«Trentasei vedute del monte Fuji» che contiene la celeberrima «Grande onda» e «Fuji rosso» sono il capolavoro più celebrato del maestro, assieme alle serie dei «Grandi fiori» e dei «Piccoli fiori».

«La grande onda presso Kanagawa», della serie «Trentasei vedute del monte Fuji» (1830-1832 circa)

Quest’opera, ormai entrata nell’immaginario del mondo intero, è talmente conosciuta che si può considerare il simbolo dell’arte giapponese.
In essa si celebra la potenza della natura, alla quale l’essere umano deve sottostare.
La gigantesca onda domina la composizione, nonostante la posizione laterale in cui l’ha posta l’artista. Si erge, monumentale ed aggressiva, quasi a voler ghermire i piccoli uomini che osano sfidarla, a bordo di fragili imbarcazioni.
Sullo sfondo, il cono perfetto del Fuji, simbolo del divino, assiste impassibile all’evento.
Nel progetto originario, erano previste trentasei stampe con paesaggi che fossero accumunati dalla presenza del monte Fuji.
Inizialmente esse dovevano essere monocrome, realizzate con il solo blu di Prussia, un colore da poco entrato nel Paese dall’Europa, ma il grande successo che ottennero convinse l’editore ad aumentarne il numero fino a cento e a stamparle a più colori.
In realtà, Hokusai ne realizzò in tutto quarantasei.

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Approfondimento:
LA XILOGRAFIA
La xilografia, o silografia, è una tecnica d'incisione in rilievo in cui si asportano dalla parte superiore di una tavoletta di legno le parti non costituenti il disegno.
Le matrici vengono inchiostrate e utilizzate per la realizzazione di più esemplari dello stesso soggetto (su carta e a volte su seta), mediante la stampa con il torchio.
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Nella serie «Grandi fiori», Hokusai inserisce gli elementi in primissimo piano su uno sfondo neutro, con inquadrature innovative: la parte superiore e quella inferiore del soggetto sono infatti ‘tagliati fuori’ dal bordo del foglio.
Questa soluzione grafica venne ripresa da molti artisti occidentali di Ottocento e Novecento (ad esempio, gli Impressionisti).


L’opera «Iris e cavalletta» ha probabilmente un significato simbolico: l’iris infatti è il fiore simbolo dei Samurai, per la forma delle foglie che ricordano le Katane. La cavalletta, appoggiata alla foglia più grande, in parte rosicchiata dall’insetto, è un richiamo alla decadenza della casta guerriera.

I MANGA

Hokusai manga "Schizzi sparsi di Hokusai") è una raccolta di schizzi con vari soggetti. I soggetti dei disegni includono paesaggi, flora e fauna, scene di vita quotidiana e il soprannaturale. La parola manga nel titolo non si riferisce ai manga narrativi contemporanei: piuttosto è il contrario.
Dipinti su xilografie in tre colori (nero, grigio e carne), i manga comprendono letteralmente migliaia di immagini in 15 volumi, il primo dei quali fu pubblicato nel 1814, quando l'artista aveva cinquantacinque anni.


Essi sono un esempio della grande capacità di osservazione dell’artista, ma anche della sua ironia, perché riescono a cogliere con bonarietà il lato buffoe gioioso dei personaggi rappresentati.
Il primo volume di Manga (definito da Hokusai come un "pennello impazzito"), era un libro di istruzioni sull'arte pubblicato per aumentare i propri introiti, trovandosi in difficoltà economica.
I Manga testimoniano la dedizione di Hokusai al realismo artistico nella rappresentazione delle persone e del mondo naturale. L'opera fu immediatamente un successo e presto seguirono i volumi successivi. Dopo l’apertura del Giappone all’Occidente, essi vennero diffusi anche in Europa.


RIASSUMENDO…
Le principali caratteristiche delle opere di Hokusai sono:
L’ironia
La vicinanza alla gente umile e ai suoi lavori
La ricerca del Divino nella natura
Il dialogo tra uomo e natura (con l’inserimento della figura umana nei paesaggi
L’attenzione alle piccole cose, ai dettagli (gesti, sguardi, piccoli fiori e animali)
Le composizioni inusuali ed originali, che sorprendono l’osservatore
La raffinatezza delle colorazioni (il bianco è ottenuto tramite lo sfondo neutro della carta)
Hokusai, Carpa che risale la corrente

sabato 31 marzo 2018

STREET ART

La street art è una delle ultime frontiere dell’espressione artistica. Tra i “graffitari” ci sono artisti autentici le cui opere sono apprezzate e ricercate da musei e collezionisti di tutto il mondo, anche se spesso essi preferiscono l’anonimato e celano la loro identità dietro uno pseudonimo.

Ma dove finisce quella che per alcuni è solo un’azione vandalica da imbratta-muri e dove inizia la vera opera di un autore che viene considerato un autentico artista?
L’arte di strada è estremamente complessa, gli artisti possono utilizzare minuscoli adesivi (stikers) fino a murales che coprono interi palazzi, stancil e posters che moltiplicano più volte la stessa immagine e installazioni che giocano con la segnaletica urbana attirando l’attenzione con elementi distorti o effetti a sorpresa.


Banksy - The Telephone Booth in Soho, London (2006)


La street art è l’arte di un pittore che utilizza come tela la sua stessa città; inizia nella seconda metà degli anni Settanta e, legata alla pop art, ne riprende in parte il linguaggio, dando però maggiore importanza al messaggio, quasi sempre di denuncia politico-sociale. 
Pop art; Andy Warhol, Marilyn

Ai suoi esordi, si sviluppa nelle periferie delle grandi metropoli ed il suo significato è legato alla delimitazione di un territorio, l’affermazione di un’identità, l’appropriazione di uno spazio cittadino.


Include vari generi che si differenziano sia per tecniche e strumenti utilizzati, sia per intenti e motivazioni: ad esempio sono chiamati “graffitari” coloro che disegnano con bombolette spray luoghi abbandonati o degradati per protesta o trasgressione. 
L’intento dei “writers” è invece l’affermazione di sé. Le loro scritte (“tag”), sono poco o per nulla comprensibili, messaggi destinati ad una ristretta cerchia di persone. 
Chi invece ha lo scopo di attirare l’attenzione e l’ammirazione di un vasto pubblico è detto “street artist”.

Il panorama della street art è molto variegato e conta numerosi esponenti; vediamone alcuni:

Keith Haring

Considerato il padre della street art, era molto legato ad Andy Warhol, uno degli esponenti più famosi della pop art. Nato in Pennsylvania nel 1958, attivo a New York negli anni ’80, è celebre per lo stile fumettistico dei suoi “omini” colorati e semplificati, definiti con bordi spessi e neri. È morto a New York a soli 31 anni.




Una delle sue opere più famose si trova proprio in Italia: Tuttomondo è un grande murale realizzato da Keith Haring nel 1989 sulla parete esterna della canonica della chiesa di Sant'Antonio abate a Pisa.


Keith Haring, Tuttomondo, 1989

La superficie della parete misura circa 180 metri quadri (10 metri di altezza per 18 metri di larghezza); si tratta del più grande murale mai realizzato in Europa, l'ultima opera pubblica dell'artista statunitense, nonché l'unica pensata per essere permanente.
Il dipinto ritrae 30 figure dinamiche e di grande vitalità, concatenate e incastrate tra loro a simboleggiare la pace e l'armonia del mondo. 
Al centro del murale si trova il simbolo di Pisa, la "croce pisana", rappresentata con quattro figure umane unite all'altezza della vita. In alto a destra un paio di forbici, a simboleggiare il bene, rappresentate come l'unione di due figure umane, tagliano in due un serpente, che simboleggia il male. Una donna con in braccio un bambino e un uomo con un televisore al posto della testa rappresentano il contrasto tra la naturalità della vita e la tecnologia che ne stravolge i ritmi. 

Jean-Michel Basquiat


(1960-1988)
Nato a New York da padre haitiano e madre portoricana, ebbe un’infanzia difficile a causa del divorzio dei genitori e una giovinezza segnata dalla rabbia, dal senso di abbandono e dalla dipendenza dalla droga. 
Il suo stile violento, primitivo, caotico, è caratterizzato dall’uso di parole scritte e da elementi infantili e tribali.
Venne scoperto da Andy Warhol, che lo lanciò in una brevissima ed intensa carriera artistica, che terminò quando egli morì di overdose a soli 28 anni. 
I temi di Basquiat sono l’identità razziale, le disuguaglianze, il rifiuto dell’altro, la solitudine dei bassifondi. 
Basquiat, Fishing, 1981

OBEY (Frank Shepard Fairey)


Nato nel 1970, Fairey idea e realizza nel 1989 l'iniziativa Andre the Giant Has a Posse; dissemina i muri della città con degli adesivi (stickers) che riproducono il volto del lottatore di lotta libera André the Giant; gli stessi sono stati poi replicati da altri artisti in altre città. 
Il senso della campagna era quello di produrre un fenomeno mediatico e di far riflettere i cittadini sul proprio rapporto con l'ambiente urbano.

Ma l'iniziativa che ha dato visibilità internazionale a Fairey è stato il manifesto Hope che riproduce il volto stilizzato di Barack Obama, diventato l'icona della campagna elettorale che ha poi portato il rappresentante democratico alla Casa Bianca. 

Il comitato elettorale di Obama non ufficializzò mai la collaborazione con Fairey, probabilmente perché i manifesti venivano affissi illegalmente, come nella tradizione della street-art, ma il presidente, una volta eletto, inviò una lettera all'artista, resa poi pubblica, in cui ringraziava Fairey per l'apporto creativo alla sua campagna.
La lettera si chiude con queste parole: "Ho il privilegio di essere parte della tua opera d'arte e sono orgoglioso di avere il tuo sostegno”.

Blu



è un artista italiano di cui si conosce solo lo pseudonimo. Autore di opere di grandi dimensioni, ha iniziato a farsi conoscere a Bologna, ma in seguito ha portato la sua arte in diverse città europee e in Sudamerica. 
Per creare le sue immagini, che hanno spesso significati sociali e di denuncia, utilizza vernici e rulli che gli permettono di colorare grandi superfici. 
Oltre che per i murales, è noto anche per i suoi video diffusi via internet, in cui i disegni si animano creando strani cartoni animati che sembrano invadere muri, pavimenti e finestre di luoghi urbani abbandonati.



Banksy



Banksy è un artista inglese, considerato uno dei maggiori esponenti della street art. Il vero nome dell'artista non è noto: si sa tuttavia con certezza che è cresciuto a Bristol. 
Le sue opere sono spesso a sfondo satirico e riguardano argomenti come la politica, la cultura e l'etica.
Il nome e l'identità di Banksy continuano a rimanere sconosciuti. 
Nonostante siano state fatte diverse indagini ed ipotesi sulla sua reale identità, nessuno sa ancora con certezza chi si nasconda dietro quello pseudonimo.
L'arte di Banksy si concretizza soprattutto negli spazi pubblici: strade, parchi e musei cittadini, realizzando pezzi che documentano la povertà della condizione umana. 



Le sue opere, con un taglio ironico e satirico, trattano tematiche quali le assurdità della società occidentale, la manipolazione mediatica, l'omologazione, le atrocità della guerra, l'inquinamento, lo sfruttamento minorile, la brutalità della repressione poliziesca e il maltrattamento degli animali. 
Per veicolare questo messaggio, viene fatto ricorso a un'ampia gamma di soggetti, quali scimmie, topi (celebri ormai i suoi rats), poliziotti, ma anche bambini, gatti e membri della famiglia reale.


Manipolando abilmente i codici comunicativi della cultura di massa, Banksy traspone questi temi atroci in opere piacevoli e brillanti, in grado di sensibilizzare i destinatari sulle problematiche proposte e di trasformare le città in luogo di riflessione. In tal senso, gli stencil di Banksy sono diretti e comprensibili come manifesti pubblicitari, tanto che le sue opere sono leggibili anche da parte dei bambini.


Banksy, No ball game

Altra originalità dello stile di Banksy, inoltre, è la capacità di dare alle sue opere delle proprietà narrative: ad esempio, nel murale “No Ball Games” sono raffigurati due bambini mentre si lanciano un cartello che vieta loro di giocare con la palla, ma che paradossalmente qui assume il valore della palla; è giocando con le contraddizioni impreviste e imprevedibili che si palesa l'ironia di Banksy, e che l'opera si carica di forti connotazioni artistiche.

Intervento in Cisgiordania


Pezzo di Banksy sulla barriera di separazione israeliana, presso Betlemme.

La Cisgiordania e lo stato d'Israele sono separati da un muro di 70 km e di 670 km di recinzione con ferro spinato, costruito come misura cautelare contro il proliferare di attentati nel territorio nazionale.
Questa struttura, come sancito nel 2004 dall'Assemblea Generale dell'Aia, è contraria al diritto internazionale, e ciò ha spinto Banksy a intervenire fisicamente sul muro. Vi sono un totale di nove opere di Banksy lungo il perimetro della struttura. 


I soggetti effigiati sono per la maggior parte bambini che non vogliono soggiacere alla barriera, e che tentano di aggirarla in volo aggrappati a dei palloncini, o di forarla con paletta e secchiello; se ciò non è possibile, si limitano a guardare i paradisi terrestri presenti al di là del muro attraverso degli squarci.

Incursioni nei musei
Banksy è un fiero detrattore della mercificazione dell'arte e del collezionismo fine a se stesso:
«L'arte che guardiamo è fatta da solo pochi eletti. Un piccolo gruppo crea, promuove, acquista, mostra e decide il successo dell'Arte. Solo poche centinaia di persone nel mondo hanno realmente voce in capitolo. 
Quando vai in una galleria d'arte sei semplicemente un turista che guarda la bacheca dei trofei di un ristretto numero di milionari» (Banksy)


Nell’immagine: «Ritratto», dove un gentiluomo settecentesco lascia sullo sfondo delle scritte spray contro gli orrori dei conflitti bellici (installato nel Brooklyn Museum e rimosso dopo otto giorni);

In segno di protesta, quindi, Banksy spesso si reca nelle gallerie d'arte più famose per appendere clandestinamente opere realizzate in perfetto «stile» ma con particolari assolutamente anacronistici.


Show me the Monet, dove un paesaggio tipico del maestro francese è invaso da due carrelli della spesa e un cono stradale;

Arte murale, disegnato su un frammento pietroso alla maniera degli uomini primitivi, ma effigiante un uomo che traina un carrello della spesa (installato nel British Museum, scoperto dopo otto giorni e infine acquistato da quest'ultimo).

La tecnica dello stencil



Banksy non è stato il primo ad usare la stencil art, ma ne è diventato il punto di riferimento per la frequenza e la creatività con cui la usa, tanto da fare raggiungere alla tecnica grande popolarità.
L'adozione della tecnica dello stencil si rese necessaria per Banksy per via della sua lentezza nella realizzazione dei murales, attività che richiede grande rapidità per scongiurare l'intervento della polizia; questa tecnica, infatti, si avvale di una maschera in negativo dell'immagine che si vuole creare, ricavata su un supporto rigido; poi non si deve fare altro che poggiare la sagoma sul muro che si è scelto di dipingere e spruzzare il colore negli spazi vuoti. 
In questo modo si concilia la rapidità di esecuzione stradale (Banksy, per dipingere un'opera, impiega solo quindici minuti, trascorrendo la maggior parte del tempo in studio a ritagliare la mascherina normografica) con una grande meticolosità e con l'eventualità di serializzare l'opera, che può essere riprodotta in modo identico tante volte quante si vuole.

Dismaland, un’opera collettiva
Oltre alle opere murali realizzate con gli stencil, le installazioni stradali e gli interventi clandestini nei musei, l’artista ha pubblicato diversi libri che contengono fotografie delle sue opere accompagnate da alcune annotazioni; inoltre, nel 2015, Banksy ha organizzato un’installazione temporanea chiamata “Dismaland” alla quale ha invitato a partecipare oltre 50 artisti. Dismaland è un “anti parco divertimenti”, una “Disneyland al contrario” (in inglese “dismal” significa “tetro”). 
In questa installazione, le diverse opere in esposizione mettono in scena i problemi della società contemporanea, tragedie quotidiane alle quali siamo talmente abituati da non farci nemmeno più caso: ad esempio l’arrivo dei profughi sui barconi viene rappresentato da barchette-giocattolo telecomandate che galleggiano nel “Mediterranean boat ride” cariche di  immigrati disperati, alcuni riversi in acqua. 

(Nel video, si può vivere una visita a 360° a Dismaland: basta tenere premuto il tasto sinistro del mouse e trascinare l'immagine).




Oppure, uno dei cavalli della giostra è stato macellato, macinato e inscatolato in una confezione di lasagne pronte da mettere sulle nostre tavole. 
O ancora, le sorridenti paperelle galleggianti da acchiappare all’uncino, sono in realtà imbrattate di petrolio, come altri uccelli vittime delle tante stragi ecologiche degli ultimi anni.